Oggi vorremmo affrontare un problema serio, che ci crea qualche disagio per l’igiene della nostra casa ma fondamentale per l’ambiente: i rifiuti alimentari che produciamo ogni giorno.
Il suolo è un elemento di primaria importanza per l’uomo, insieme all’acqua che beviamo e all’aria che respiriamo. Dobbiamo prendercene cura, con la consapevolezza che, nonostante sia una risorsa di grande valore perché è alla base della produzione di cibo, foraggio, carburante e fibre, oltre che di molto altro, è una risorsa non rinnovabile, limitata, il cui impoverimento e degrado non sono recuperabili nel tempo di una vita.
Quanto siamo consapevoli della rilevanza di questo per la Terra e del fatto che è altamente a rischio?
Lo capiamo subito se pensiamo che il 33 % del suolo mondiale è influenzato da fenomeni di degrado e che in Europa l’area con un’elevata sensibilità alla desertificazione è aumentata di 177.000 km2 in meno di 10 anni. Uno scenario piuttosto critico che ha portato la Commissione Europea a porre questo punto come oggetto di una missione per trovare una soluzione alle sfide della sicurezza alimentare e della qualità del suolo: Mission Board for Soil Health and Food.
Inoltre, nell’ambito del Green New Deal, il principale piano di politiche europee sviluppato dalla nuova Commissione, è prevista una strategia, denominata Farm to Fork (dalla fattoria alla tavola) finalizzata ad aumentare la materia organica e la tutela del suolo dall’inquinamento. Riportare la materia organica nel terreno ha un ruolo importantissimo per trattenere il carbonio, che è una delle principali cause dell’effetto serra e del conseguente cambiamento climatico. Ma quando parliamo di materia organica cosa intendiamo? Stiamo parlando dei rifiuti organici, una risorsa d’oro e allo stesso tempo green, per aumentare l’efficienza energetica. Ebbene sì quelli che apparentemente sembrano essere solo un problema e anche un notevole costo a livello di gestione, sono, anzi, possono essere estremamente utili nella produzione di energia pulita. Ma perché ciò accada ognuno deve fare la sua parte.
Facciamo un passo indietro: noi produciamo rifiuti, non solo nelle città, ma anche nelle nostre case. E proprio tra le mura domestiche la parte più consistente della raccolta differenziata è l’organico. La sua gestione, se ben architettata, potrebbe garantire l’economia circolare di cui parlavamo prima, trasformandosi in una risorsa fantastica per il suolo: se raccolto e trattato correttamente, rappresenta una risorsa di grande valore per ottenere fertilizzante (compost) ed energia rinnovabile (biogas). Purtroppo, l’umido è composto da una serie di sostanze che tendono a degradarsi emettendo gas e liquidi molto pericolosi, complici dell’inquinamento. Se lasciati in discarica i rifiuti umidi infatti generano il percolato che è un liquido inquinante per il terreno e le falde acquifere sottostanti. La discarica non è ovviamente il destino previsto per questa categoria di rifiuto. Il Pacchetto Europeo per l’Economia Circolare vieta infatti il conferimento in discarica dei rifiuti organici dal 2024 e richiede che si raggiunga il 65% di riciclaggio dei rifiuti urbani entro il 2035 (obiettivo il cui raggiungimento dipende molto dalla frazione organica, dato che ne rappresenta la quota maggiore).
La fine ideale per gli scarti di cucina è infatti il trattamento presso impianti di compostaggio e impianti integrati di compostaggio e/o digestione anaerobica, che consente di trattare direttamente sul territorio i rifiuti prodotti dai cittadini. L’Italia rappresenta un caso virtuoso per la gestione del rifiuto umido. Il Comune di Milano è un punto di riferimento a livello europeo per la raccolta differenziata, che supera il 50%, grazie in particolare ad una raccolta dell’umido di alto livello, ottenuta in virtù dell’introduzione della raccolta porta a porta in tutto il territorio e l’impiego di sacchi compostabili, promossa anche attraverso l’attivazione di campagne informative rivolte ai i cittadini per incentivare il riutilizzo degli shopper compostabili distribuiti alle casse dei supermercati.
La realtà del capoluogo lombardo purtroppo però non è uguale in tutto il territorio nazionale, che anzi è caratterizzato da tante realtà differenti molto “indietro” in questo tipo di gestione che rallentano il processo tale per cui gli scarti da cucina possano essere trasformati in risorse a livello globale.
“In Italia il riciclo dei rifiuti organici è affidato a 339 impianti di trattamento biologico: 281 sono impianti di compostaggio, 58 sono gli impianti integrati di digestione anaerobica e compostaggio. A fronte di una crescita contenuta dei quantitativi trattati presso siti che adottano solo il compostaggio (+500.000 t dal 2013 al 2018), i flussi gestiti da quelli integrati (Digestione anaerobica + compostaggio), sono pressoché raddoppiati (+1.670.000 t nello stesso periodo): nel 2018 sono arrivati a trattare più del 50% della frazione umida proveniente dalla raccolta differenziata.
In particolare, si contano 281 impianti di compostaggio che producono Compost utilizzato in agricoltura e nel florovivaismo, di cui 173 dislocati al Nord, 46 al Centro e 62 nel Sud e nelle Isole, che a fronte di una capacità autorizzata totale di 5.944.000 t/anno registrano un trattamento di 4.009.000 t/anno.
Gli impianti di Digestione Anaerobica e Compostaggio, che producono Compost e Biogas, sono 58, con capacità autorizzata pari a 4.371.000 t/anno, mentre il rifiuto trattato ammonta a 3.764.000 t/anno. La maggior parte delle strutture si trova a Nord (47), mentre se ne contano solo 4 al Centro e 7 tra Sud e Isole.”
“Ribadiamo come la concentrazione geografica degli impianti soprattutto nel Nord Italia rappresenti una criticità del sistema, uno squilibrio che finora ha retto perché l’Italia non è mai andata in emergenza per questa tipologia di rifiuti, ma che costringe il Centro e il Sud Italia a trasferire i propri rifiuti organici in altre regioni, con enorme diseconomicità del sistema” (Direttore del CIC, il Consorzio Italiano Compostatori) “Stante il complessivo deficit impiantistico necessario a gestire le raccolte previste a regime (più di 9 mln di ton/anno), oltre il 35% del deficit nazionale a regime si concentra tra Lazio, Campania, Sicilia e Puglia; nella prospettiva di una gestione regionale del rifiuto raccolto, il deficit a regime delle regioni del Centro-Sud è drammatico: oltre il 700% in Campania, quasi 500% nel Lazio, 200% in Sicilia e Marche”.
(Fonte: http://www.recoverweb.it/rifiuti-organici-cic-in-italia-la-raccolta-sale-a-71-milioni-di-tonnellate-75/).
Pensiamo però per un momento ai costi e all’inquinamento prodotto dai camion che almeno due, se non tre volte la settimana passano al nostro domicilio a ritirare l’umido.
Se potessimo ridurre il volume dei nostri scarti, renderli “inodori” e innocui, interrompendo il processo di degradazione, anche chi vive in città, in appartamento, potrebbe dare un importante contributo alla salute del pianeta e non sarebbe più necessario il via vai di camion tutte le settimane ma, come già succede per la raccolta di plastica e carta, ad esempio, potrebbero bastare due raccolte al mese!
L’elettrodomestico legato a doppio filo con la raccolta dell’umido, è SmartCara, l’essiccatore rapido di rifiuti domestici organici, che trasforma cio’ che scartiamo in una risorsa preziosa per il suolo.
E visto che abbiamo parlato di compostaggio a livello di impianti – ma che viene fatto anche in tante realtà familiari – ci sentiamo di dire che SmartCara è una validissima alternativa a quella pratica tanto utile, quanto antica. Per chi non ha il terreno per produrre il compost, non ha l’esperienza, né tempo o per altri mille motivi, il nostro essiccatore è una scelta conveniente e sostenibile. Funziona in modo semplice e rapido, oltre a consumare pochissimo. Gli scarti da cucina diventano, grazie a un breve ciclo di poche ore, un ammendante per piante e fiori. Un’ alleata dunque del terreno, ma anche del risparmio in termini di energia e di miglioramento dell’inquinamento.
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